Antonio Sicurezza, di Wine Attack di Madrid, ha fatto questa intervista a Maissimiliano Croci.
Raccontaci perché e come hai iniziato a produrre vino. La tua famiglia che origini ha?
La mia famiglia è una famiglia di agricoltori da generazioni e hanno sempre prodotto vino, essenzialmente per consumo personale e dal dopo guerra anche per venderlo.
Mio nonno Giuseppe, classe 1898, agricoltore a Mignano di Vernasca, una zona montuosa, decise di spostarsi e scendere la valle nelle colline, così nel 1935 acquisto l’azienda a Monterosso di Castell’Arquato, negli anni successivi costruì la casa, il fienile, la stalla e vi trasferì con la famiglia negli anni 40 durante la guerra.
Mio padre Ermano, classe 1938, fu l’unico dei 9 figli (gli altri più vecchi emigrarono) a portare avanti l’azienda agricola e negli anni ’70 poiché in collina l’unica coltivazione a dare un reddito decente era l’uva e la sua trasformazione vi si specializzò abbandonando gli allevamenti.
Io sono nato nel momento in cui lui iniziò ad imbottigliare con propria etichetta. Anche se ho studiato tutt’altro per me è stato spontaneo continuare questa attività per una passione innata e la voglia di vivere su questa terra.
A distanza di diversi anni dalla tua prima vendemmia come è cambiato il tuo lavoro in vigna e in bottega?
Essenzialmente non è cambiato, ho più esperienza e consapevolezza così devo chiedere meno consigli a mio padre. In vigna siamo sempre stati biologici, non per credo o altro, ma solo perché la zona è vocata alla viticoltura, le vigne si ammalano poco e un po’ di rame e zolfo sono sufficienti, gli altri prodotti sistemici sono molto più cari, e per mio padre, non avendo mai navigato nell’oro, la scelta è stata banale.
Parliamo del tuo distretto di riferimento: Piacenza, la prima città dell’Emilia lasciando Milano e viaggiando verso sud. Se fossimo ancora negli anni ’90 si parlerebbe di una scena “grunge” un po’ come si parlava della Seattle musicale dei Nirvana, Pearl Jam, etc… Cosa ha di speciale il vostro territorio, visto che siete in parecchi a lavorare naturalmente e con vini legati alla tradizione ma anche con una ricerca stilistica importante?
Piacenza ha una lunga storia di viticoltura, oltre ai resti di Vitis Vinifera in epoca paleolitica, fin da epoca romana si evince chiaramente l’importanza nell’economia agricola della zona data al vino, probabilmente dato dal fatto che le terre collinari sono povere e con la vigna le riesci a sfruttare.
Inoltre Piacenza con la Via Emilia è da sempre un crocevia di culture che hanno negli anni affinato il mondo di fare vino e poterlo commercializzare in tempi antichi.
Questo ha generato una millenaria tradizione che è arrivata fino ai giorni nostri, tutti qui chi più chi meno hanno o hanno avuto recentemente un parente che ha una vigna e fa vino anche solo per consumo personale, con pochissimi mezzi e di conseguenza rispettando le tecniche tramandate e ovviamente naturali per mancanza di tecnologia ed enologia.
Quindi non è la nostra generazione ad aver creato un nuovo genere, noi stiamo solo custodendo con moderna consapevolezza ciò che nostri avi hanno creato mescolando diverse influenze.
Se dovessi spiegare all’estero cosa è il movimento Emilia sur Li con che parole inizieresti? Cosa lo rende unico (se è davvero unico)?
Da noi il vino frizzante rifermento in bottiglia con i resti dei lieviti sul fondo della bottiglia è sempre stata la normalità, anzi se non frizzava voleva dire che avevi lavorato male e sbagliato qualcosa in vinificazione o in imbottigliamento. Anche e soprattutto per i vini “fatti in casa” per consumo personale.
Il motivo è che su queste terre, lavate dal mare nel pliocenico, spesso i vini per povertà di azoto non riuscivano a completare la fermentazione durante la vendemmia, andando in bottiglia per conservarlo dopo che il freddo dell’inverno lo aveva aiutato a decantare, a pulirsi e affinarsi, i lieviti con il caldo si risvegliano e terminano la fermentazione in bottiglia. Quindi nessuna moda solo la vera tradizione dei vini frizzanti.
Croci fa rima (simbolica) con vini rifermentati in bottiglia. Una volta per tutte ci spieghi la differenza tra un ancestrale e un pet nat? la confusione è tanta.
Per me Ancestrale, Pet Nat, col fondo, ma anche gli stessi Surli e Sur lie sono solo modi commerciali per distinguersi.
Per mio nonno era vini frizzante e basta, per me sono i vini charmat (in autoclave) che dovrebbero indicare che sono fatti a “macchina”.
Per fortuna (e purtroppo) questi vini stanno vivendo una sorta di moda e molte aziende si stanno improvvisando produttori di questi vini rifermentando in bottiglia con qualsiasi mezzo, addirittura imbottigliando durante la vendemmia mosti ancora in fermentazione.
Per me la rifermentazione deve essere spontanea come da tradizione.
Abbiamo bisogno adesso di una piccola deviazione culinaria. Cosa si mangia a Piacenza? cosa mangiavano ad es i tuoi nonni? I vini in che contesto si inserivano e tuttora si inseriscono nel tessuto alimentare?
Come dicevamo Piacenza è un crocevia di culture e quindi di cucina, siamo una via di mezzo tra l’uso austero del bue come in Piemonte e delle grassezza del maiale emiliano. E a Piacenza puoi trovare vini da abbinare a tutto.
Mio nonno per lo più mangiava ciò che non vendeva, ad esempio del maiale non ha mai mangiato il culatello o il prosciutto, parti che venivano subito vendute dopo la macellazione, mangiava per lo più le parti più grasse stagionate come lardo, pancetta e goletta oltre ovviamente al salame. Cibi che si sposano perfettamente ai nostri vini.
Quante volte ti hanno detto (più o meno per scherzo) che i tuoi vini erano frutto di un errore tecnico, visto che sono imbottigliati a fermentazioni non complete.
Quando ho iniziato a vendere fuori dal nostro territorio spesso, specialmente da chi oggi produce Petillant naturel.
Lo status quo del vino rifermentato: una moda appunto o sono vini legati effettivamente al territorio? Non pensi che adesso ce ne sono troppi di vini frizzanti in giro? è aumentata la domanda o i produttori semplicemente … si annoiano e pensano a strade alternative?
Viviamo un momento in cui i vini troppo strutturati hanno stancato e molti produttori vedono nelle rifermentazioni un modo per uscire presto con vini freschi e realizzare incassi senza aspettare lunghi tempo di affinamento.
Si parla cosi tanto dei vini rifermentati col fondo. Pero tu e tanti altri in Emilia fate anche i cosiddetti vini fermi. Non c’è rischio che una eccessiva caratterizzazione “carbonica” dia una immagine deformata del vostro territorio?
Sicuramente, nel mondo pochi sanno che noi questi vini li abbiamo sempre fatti al di là delle mode.
Purtroppo quando la moda passerà ne spariranno molti, noi continueremo perché qui è il modo più spontaneo di produrre vino.
Mi fai un check up del vino naturale in Italia. La qualità è migliorata? e le vendite? (parliamo anche di soldi, visto che non siamo delle vergini).
La qualità per le aziende vocate è sempre stata alta, diciamo che la richiesta aumentata, oggi molti enologi e consulenti si sono specializzati e molte nuove aziende entrano in questo mercato anche se in zone non vocate e riescono a proporre vini naturali di qualità, anche se personalmente per il fatto stesso di avvalersi di consulenti non li chiamerei vini naturali, per me le scelte in vigna e cantina le deve fare il vignaiolo.
In Italia si arriverà mi ad un vero protocollo associativo per cercare di definire dei criteri di fondo per inquadrare il vino naturale?
Se ci si arriverà sarà un protocollo che potranno sfruttare anche gli industriali
A proposito ti piace l’aggettivo “naturale” o credi che sia una forzatura?
Non mi dispiace, ovviamente in alcuni casi o situazioni può essere una forzatura, a ricordiamoci che la menzione naturale è utilizzata in ogni dove e legalmente al di fuori del mondo del vino, addirittura nelle saponette. Comunque io preferisco “spontaneo”.
E il consumatore cosa ha capito di fondo negli ultimi dieci anni?
C’è chi si informa, legge, capisce e fa scelte consapevoli, ma c’è anche purtroppo chi beve solo per moda
Torniamo alle vigne visto che il vino nasce lì. Come le curi?
Come mio nonno e mio papà, rame zolfo, sovesci, e letame ben maturo quando serve.
Qual è il vino più difficile da fare nell’ambito della tua produzione?
Ovviamente il vino di “ghiaccio” per condizioni climatiche, ma tutti i vini fermi sono complicati in quanto per non avere rifermentazioni in bottiglia bisogna aspettare che finiscono nelle vasche, e a volte nelle grosse masse le rifermentazioni non ne vogliono sapere di completarsi.
Parliamo di due vitigni sconosciuti al grande pubblico o quasi: la rossa Bonarda e il bianco Ortrugo. Potresti spiegare le caratteristiche principali di queste uva?
La Croatina, chiamata Bonarda a Piacenza e Pavia, è un uva rossa poco produttiva, ha un grappolo spargono che matura tardi. Sulle nostre terre esprime un vino ricco di colore (antociani), con sentori di frutti di bosco e di una struttura molto tannica, è per questo che i nostri vecchi hanno capito il giusto abbinamento in uvaggio con la Barbera, molto acida e meno tannica, trovando il modo per equilibrare entrambe le uve.
L’Ortrugo è un vitigno autoctono che si trova solo a Piacenza, è un uva verde dal grappolo molto compatto, il nome deriva da un’espressione dialettale che significava “l’altra uva”; praticamente un uva senza nome. Fino agli anni 70 veniva usata solo in uvaggio con la nostra Malvasia di Candia Aromatica. Ci dona un vino molto asciutto, fresco, dalla buona acidità, con sentori di cereale, di frumento appena trebbiato.
Ricordati una cosa: i nostri vini fanno come da tradizione macerazione sulle bucce.
Vini arancioni è un concetto moderno arrivato dall’estero per distinguere dai vini chiarificati, ma qui per mio nonno e mio papà la macerazione era l’unico modo per produrre vino, il colore intenso era la normalità e vini erano definiti semplicemente vini bianchi. Erano quelli bianco carta a non essere vini normali.
Massimiliano, come vedi che è accolto il vino naturale italiano all’estero?
Direi bene, i consumatori più attenti capiscono questa nostra spontaneità contadina nel produrre i vini
E tu come amante del vino cosa bevi e quali bottiglie ti appassionano?
Innanzitutto in famiglia consumiamo il nostro vino quotidianamente, circa 700 bottiglie all’anno. Poi io bevo di tutto, dipende dall’umore e dalla stagione, purché sia naturale ovviamente. Ma quando ho bisogno di un confort wine, finisco sempre per bermi un vino piacentino che sia della Stoppa, di Denavolo, del Poggio o di Casé.
La domanda opposta: cerchiamo di essere cattivi per una volta. Mi dici qualche distretto vitivinicolo a livello mondiale che ti fa orrore?
L’Australia, per fortuna qualche piccolo giovane produttore sta cercando di invertire la tendenza
Cosa conosci della Spagna vitivinicola alternativa?
Bevuto molto, alcune cose piaciute altre meno, ma non ne so ancora abbastanza per parlarne
Chiudiamo con la classica domanda apocalittica: dimmi i 5 vini che porteresti con te su un’isola deserta in caso di un viaggio pianificato senza ritorno.
Sono un ragazzo semplice a cui piace bere e non sorseggiare quindi se escludiamo il mio Gutturnio e il Campedello:
Macchiona de La Stoppa
Malvasia di Camillo Donati
Lambrusco di Vittorio Graziano
Camporenzo di Monte dell’Ora
Verdicchio Le Oche di Fattoria San Lorenzo
Un grazie di cuore che non sarà mai sufficiente per ringraziarti sul serio.